mercoledì 28 maggio 2014

LIFE 101



Ok, è abbastanza chiaro che c'è qualcosa che non va. Qualcosa che decisamente non va nella mia vita, ma che proprio no, vaffanculo non va e sta letteralmente devastando ogni singolo nervo che mi alberga in corpo.
Vediamo se è utile fare un punto della situazione, come a scuola.
E partiamo dal principio.

1) Lavoro.
Da otto anni lavoro per un'azienda (seppur abbastanza prestigiosa, e premettiamolo: con un contratto part time retribuito benissimo) che non mi interessa e per la quale non provo alcun tipo di attaccamento professionale, dove non c'è possibilità di crescita e che, per necessità monetarie, mi costringe a fare 6 giorni alla settimana ciò che più al mondo detesto: relazionarmi con estranei (per la maggior parte turisti) tentando di vender loro beni che non sono decisamente di primo consumo venendo umiliata, degradata e sottovalutata sia da loro che, recentemente, dai miei capoarea.
Come una mia cara collega ed amica ha scritto qualche tempo fa nell'ambito di una discussione a tema (dove chiedevo ai miei contatti fb se si fossero mai trovati nella mia stessa condizione di insofferenza lavorativa e come avessero reagito), "il lavoro è solo quello che facciamo per poter comprare le cose che ci piacciono".
Non potrei essere più d'accordo di così.
L'unico motivo che mi ha spinto a mantenere il mio posto di lavoro in tutti questi anni (e di anni ne ho 28, quindi ero poco più che ventenne quando venni assunta a tempo indeterminato -sì, fanculizzatemi. STO SPUTANDO SOPRA AD UN CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO) è stata la necessità di a) poter continuare a pagare la retta della mia arenata carriera universitaria (visto che mammina non ha mai potuto finanziare i miei studi, e per me in tal senso ha fatto sin troppo) b) poter contare su un'indipendenza economica che un giovane deve assolutamente avere per entrare prima e sopravvivere poi nel complesso, grottesco mondo degli adulti.
Le cose cambiano, la vita si evolve, e qualche anno fa ho scelto di cominciare a vivere per conto mio.
Affitto, vitto, macchina acquistata subito dopo aver preso la patente 4 anni fa (no, la guida non è mai stata una mia priorità e no, paradossalmente non sono una grandissima socialite) da mantenere- a volte mi guardo indietro e mi sorprende vedere quante cose sia riuscita a conseguire con poco più di 800€ al mese. Sono ancora viva, voglio dire. Ho venduto tutti i miei gioielli (oh, come fa retrò) ed i miei ricordi più cari, alcune borse, recentemente la mia macchina, non mi prendo una "vacanza" (intesa come FERMI TUTTI DEVO STACCARE LA SPINA) fuori da Roma di più di tre giorni dal 2005, ma sono ancora viva.
Ma, a 28 anni, sono ancora qui. La mia vita è andata avanti ed io non mi sono evoluta. Capite cosa voglio dire?
La mia laurea non si conseguirà da sola, non ho né ambizioni lavorative né aspirazioni per il futuro.
Mi sento vuota. Incastrata, bloccata. Definite voi come vi sentireste "in trappola".

Milioni di persone svolgono un lavoro che non amano. Lavori più degradanti, sottopagati e faticosi del mio (il mio ragazzo ne è l'esempio più lampante: mi confronto con lui ogni giorno ed ammiro la forza di volontà e tutti i sacrifici anche fisici che, pur malvolentieri, sopporta pur di non lasciare in difficoltà i suoi colleghi. E' un esempio per me, ma allo stesso tempo, guardandolo, mi rendo conto di quanto io sia debole rispetto a lui, e mi sento incapace, e terribilmente ingiusta. Se stai leggendo, perdonami).
So che dovrei farmi forza e tenere duro, che non molti sono fortunati come me e possono contare su uno stipendio fisso.

Perchè allora di recente la situazione è letteralmente precipitata? Fatta questa premessa, passiamo ai punti 2 e 3.

2) La comitiva di amici che tua madre non vorrebbe mai che frequentassi: depressione, disturbi alimentari, alcool.
Nella mia famiglia esiste una lunga storia di depressione, attacchi di panico ed ansia (se vogliamo proprio buttarla lì come FYI, l'alcolismo di mio nonno) quindi, sin da bambina, non sono mai stata estranea a scenari che comprendevano mia madre svenire in corridoio all'improvviso o all'idea di magiche gocce in una bottiglietta che le erano diventate praticamente indispensabili per svolgere le normali attività quotidiane, come andare al lavoro ed occuparsi da sola di due figli piccoli (ce l'hai fatta però, mamma).
Da quando avevo 15 anni soffro di attacchi di panico. Ho quasi perso il secondo anno di liceo per via del gran numero di assenze (non riuscivo ad uscire di casa se non accompagnata, prendere l'autobus era fuori discussione e oh sant'Iddio, la metro) ed ero costantemente sola. Grazie alla vicinanza di mia madre, con la quale all'epoca avevo un rapporto simbiotico, e ad alcune compagne di classe (che fanno ancora parte della mia vita, sebbene non riesca più ad essere onesta con loro come lo ero un tempo) riuscii a riprendere una vita normale, diplomarmi con il massimo dei voti ed iniziare con entusiasmo la mia avventura universitaria. Ero quasi rinata. Cominciai con qualche lavoretto per pagarmi libri e rate, e dopo due anni venni assunta dall'azienda per la quale ancora tutt'oggi lavoro. Era il 2006. 
Il 2007, per molti versi, cambiò la mia vita. La definitiva rottura dei rapporti con mio padre, un avvenimento grave che mi segnò inevitabilmente (sebbene avessi cercato in tutti i modi di affrontarlo con razionalità) che si risolse un anno più tardi. La mia vita assunse, senza che me ne accorsi, una prospettiva differente. 
Quando le cose cominciarono a migliorare ebbi voglia di vedermi in modo differente anch'io. Ero sempre stata una fan del nu metal e del rock (emulando inconsapevolmente mio fratello maggiore, per me un idolo ed un migliore amico), e così anche il mio abbigliamento era in linea con la classica emo scene. All'epoca per la mia azienda i miei piercing ed i miei tatuaggi non erano un problema, quindi tanto meglio. L'incontro con una nuova collega, una simpaticissima ragazza più grande di me con uno stile impeccabile e diverso ed una conoscenza della moda assoluta all'improvviso mi illuminò: tutte le cose che avevo sempre visto come eccessivamente femminili o superficiali mi affascinavano, la maison romana Fendi divenne la prediletta per i miei primi acquisti on point e presto Alexander McQueen, Christian Dior, Riccardo Tisci ed il mio preferito, monsieur Yves Sain Laurent, divennero artisti che avevano lasciato la loro impronta nel mondo alla stregua di grandi come Canova. 
BAM. L'arte ha tantissime forme, l'arte si evolve, l'arte è viva

Anche il mio aspetto cominciò a non soddisfarmi più. Non sono mai stata né grassa né obesa, solo leggermente sovrappeso, ma sapevo di voler modificare il mio corpo affinché mi sentissi più sicura di me e potessi indossare outfit che amavo senza essere ridicola (ancora oggi un collega mi sfotte inesorabilmente ricordando un abitino di lana grossa bianca che avevo acquistato in negozio credendo mi donasse e nascondesse un po' i miei fianchi quando invece dava l'idea che fossi un cetaceo arenato. Grazie, Franco #brutaleverità). Iniziai un percorso orientato verso una più corretta alimentazione presso una dietologa e persi 5kg in un mese senza sforzarmi o soffrire troppo. Mi sentivo bene. 
Smisi di frequentarla non so bene per quale motivo, ma presto cominciai a curare personalmente il mio regime alimentare. Dopo qualche mese avevo tolto qualche alimento ed ogni genere di condimento, dopo un anno abolito completamente il pranzo, ridotto formaggi ed eliminato carne (mai stata una grande fan, a dire il vero), poi la colazione fino al mio attuale singolo pasto al giorno. Non mi sono più pesata da allora.
Qualche anno fa sono iniziati i miei cheat days (dopo settimane di restrizione cerchi di mangiare più cose possibili affidandoti ad un fantomatico "giorno salvo" , al quale rimediavo con 24h di digiuno nel giorno seguente), poi i cheat days con conseguenti abbuffate e vomito indotto (dove i giorni di digiuno conseguenti diventavano 2), poi la bulimia che sempre piu spesso oggi mi porta a rimettere anche insalate overdura. 
L'importante è bere molto e cercare di liberarsi del cibo entro un'ora, lessi in un blog pro-ana

Nel frattempo ho tentato l'approccio terapeutico con una psicologa. Per un anno e mezzo, o forse meno, la terapia mi ha aiutato a ricostruire i rapporti con la mia famiglia (che si erano logorati ancora di più dopo che scelsi di andare via di casa in seguito ad una furiosa lite con mia madre e mio fratello maggiore), ma non mi ha aiutato a capire il mio problema con il cibo. Quando mi accorsi che i farmaci che mi aiutavano a controllare i miei sbalzi di umore comportavano un aumento di peso ho smesso di prendere tutto ad eccezione dello Xanax, ad oggi ancora il mio migliore amico, ed ho smesso improvvisamente di andare. 

Ai disturbi alimentari si sono presto affiancati l'autolesionismo e la "blanda" dipendenza dall'alcool, ma qui torniamo un po' indietro. La prima volta che mi tagliai un braccio fu in bagno, al lavoro, con la chiave del mio armadietto. Sarà stato il 2009. Poi cominciai a smontare le lamette da barba dal supporto in plastica ed a portarle con me nella mia shopper  Gucci, assieme ad una mini bottiglia di liquore Castroni al caffè riempita di Gin (ora sono molto più professionale, ho una fiaschetta in acciaio tutta mia. Ah, la felicità).

Già, i liquori. Andare al lavoro cominciava ad essere troppo logorante per me, con i miei pensieri costantemente rivolti al cibo ed alla mia vita che lentamente mi stava sfuggendo di mano. Non davo più esami e quando avevo fame bevevo un drink, una birra, un bicchiere di vino. Lo faccio ancora adesso. A volte bevo per fame, a volte per disperazione. Dopo un litigio, una delusione- io non mi arrabbio. Io stappo qualcosa. 

Cominciavo a detestare il turno di pomeriggio. Non studiavo più se non saltuariamente, e stare in casa a combattere con la fame ed il tedio di dover passare un altro pomeriggio in negozio (dove nel frattempo le priorità lavorative erano cambiate: ********** si stava trasformando in un magazzino di lusso dopo aver rivoluzionaro il flagship store di Milano, ed il nostro ruolo era sempre più orientato verso la consulenza ed il servizio al cliente. Io, che amavo sistemare in tranquillità il magazzino e sostanzialmente lavorare nelle retrovie, ero in seria difficoltà) mi innervosiva e logorava pian piano.  Prima di uscire per andare bevo qualcosa: a volte calmava i nervi, a volte acuiva il dolore ed il nervosismo. E sempre più spesso crollavo con le ginocchia a terra dopo crisi isteriche di pianto ed il ritorno dei miei attacchi di panico. 
E qui torniamo al punto numero 1.  

3) Di nuovo il lavoro. Non ho le capacità necessarie o non mi applico perché non ho il benché minimo interesse per ciò che mi garantisce di vivere?

Il senso di inadeguatezza ed incompetenza, la colpa di aver tralasciato gli studi non perchè fossero indispensabili a trovare il lavoro dei miei sogni (visto che non esiste) ma come obiettivo da conseguire e portare a termine - questo perchè inversamente ossessionata dal cibo ed emotivamente dipendente dall'alcool- un lavoro che non mi gratifica e la consapevolezza che tra breve avrò 30 anni e la giovinezza, così come le opportunità, mi stanno sfuggendo dalle mani.
Vorrei capire me stessa. Vorrei capire cosa non va. Vorrei, più di tutto, trovare una soluzione, ma so che questo probabilmente non accadrà finché non troverò la strategia di guerra più efficace per combattere contro i miei demoni.

So che alcuni di voi sono con me, e mi supportano in silenzio.
So che molti non capiscono.
So che altrettante persone non capiscono perchè non chieda aiuto, ed a queste persone mi sento di dire che ho paura di affrontarle. Ho paura del confronto con loro ma mi mancano, e per ora non c'è nulla che io possa fare a riguardo.

Alla Tennent's ed al bicchiere di vino che è qui sul tavolo con me mentre scrivo dico "grazie". E "grazie al cazzo".
Alla pizza che sono riuscita a mangiare ieri sera (con conseguente gastrite ed indigestione la mattina seguente) con il mio fidanzato senza che la rimettessi dico... Ogni tanto ci riesco.

Al prossimo capitolo della mia vita dico-
Dove sei?
A presto.

Forse.




Nessun commento:

Posta un commento